domenica 24 gennaio 2016

Jurij Družnikov, “Angeli sulla punta di uno spillo” ed. 2006

                                                         Voci da mondi diversi. Russia
           satira
           il libro ritrovato

Jurij Družnikov, “Angeli sulla punta di uno spillo”
Ed. Barbera, trad. Federica Aceto, pagg. 566, Euro 18,50  (prezzo attuale, Euro 3,56)



   “Il numero di angeli che possono stare sulla capocchia di uno spillo è uguale alla radice quadrata di due”, dice la citazione all’inizio del romanzo dello scrittore russo Jurij Družnikov, che è come dire un numero infinito. E c’è qualcosa di paradossale nella terminologia della citazione, se riferita al significato del libro, e cioè che il numero di dissidenti, inafferrabili e volatili come angeli, è impossibile da verificare nella sterminata estensione del territorio russo. E “Angeli sulla punta di uno spillo” incomincia con il ritrovamento di un manoscritto polemico e pericoloso che circola in samizdat, e termina- dopo che con fatica si è riusciti a far sparire il primo- con un altro testo dello stesso tenore, come se, scalzato un angelo dalla capocchia di uno spillo, il suo posto venisse preso immediatamente da un altro. All’infinito, soprattutto se si considera il titolo del primo fascicolo, “La Russie en 1839”, e l’occhio deve controllare ripetutamente la data, perché quello che si dice della Russia del 1839 è valido anche nell’Unione Sovietica di 130 anni dopo.

     E’ un romanzo esplosivo, quello di Družnikov, come una bomba con la miccia lunga, di un humour corrosivo e selvaggio che ricorda quello orwelliano. L’ambientazione è a Mosca, alla fine degli anni ‘60 con “Sopracciglione” al governo- Brežnev, anche se siamo avvisati che non ci verrà niente di buono a cercare di riconoscere persone note nei personaggi del libro. E la redazione di un giornale è un microcosmo perfetto per uno stato in cui si mente per proteggersi e dire la verità può scuotere le fondamenta del paese. “Trudovaja Pravda” è il titolo del giornale, “la verità che costa fatica”, ma quale verità?
Il direttore Makarcev è allenato a smistare mentalmente le notizie in verità allargata, verità ristretta e verità assoluta, e- ricordate il Ministero della Verità in “1984”?- in definitiva la verità si confeziona ad arte. “Io non so che professione sia quella del giornalista. Io, di professione faccio il bugiardo”, dice l’ebreo Rappoport, il personaggio più grandiosamente significativo tra tutti quelli che vivono in queste pagine. Il suo è un lavoro creativo, le sue bugie sono assolutamente pure, senza ombra di verità, e sono anche altamente morali e consolatorie in quanto garantiscono e promettono un futuro stabile. Il punto di partenza della narrazione è l’infarto di Makarcev, pretesto per domandarsi quale ne sia stata la causa, per scavare nella pressione quotidiana del dover vivere nascondendo la paura sotto una maschera di tranquillità. Con Makarcev in ospedale, in ufficio qualcuno prende il suo posto, il manoscritto pericoloso che Makarcev aveva già messo in una busta per il KGB passa di mano in mano, suo figlio viene messo in prigione per aver investito due persone guidando in stato di ubriachezza (ma c’è un prezzo politico per tutto, anche per venir assolti e rilasciati), un giornalista viene picchiato senza motivo dalla milicija, un altro viene accusato di aver scritto il manoscritto samizdat e scompare dalla circolazione, un medico specializzato in Impotentologia applica la sua terapia a Sopracciglione e Rappoport inserisce un decimo cerchio nell’Inferno di Dante per i corruttori di intere nazioni- per se stesso, ma anche per Hitler e Lenin, Stalin e Mao, i politici senza scrupoli e i loro giornalisti.
Ed è impossibile parlare di tutti i personaggi e di tutte le loro storie e del loro passato, il microcosmo funziona come una matrioska- la vicenda di uno termina con l’inizio di quella di un altro, ad incastro, in questo splendido romanzo russo che trabocca di una satira irridente ed amara.

    

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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