domenica 10 gennaio 2016

Miljenko Jergović, “Freelander” ed. 2011

                                       Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
              il libro ritrovato


Miljenko Jergović, “Freelander”
Ed. Zandonai, trad. Ljiljana Avirović, pagg. 187, Euro 15,00

Titolo originale: Freelander

Rifletteva su quello che era, quello che aveva dentro, e sulla propria sorte: sul perché era stato messo da parte per volontà degli studenti, sul perché il vecchio Ivkov non voleva più neppure rispondere al suo saluto e sul perché il compagno Šušnjar l’avesse apostrofato in quel modo, dandogli dell’eunuco. Ma rifletteva pure su un’altra questione, che, in termini di offesa, gli pareva molto più grave: il compagno Šušnjar sapeva benissimo che lui e Ivanka non avevano figli, tuttavia, senza un minimo di ritegno o vergogna, ecco, gli aveva dato dell’eunuco.

     Ho letto molti romanzi “on the road”, ad iniziare da quello di Kerouac che ha dato il nome ad un genere, ma nessuno come “Freelander” di Miljenko Jergović.
Perché questa non è la storia di un viaggio verso il futuro, ma verso il passato. Non è un viaggio di nuove esperienze e nuove scoperte, o almeno, non lo è in senso eccitante. E’ un viaggio in cui si scopre che nulla è più come era un tempo, nulla è riconoscibile. Un viaggio colmo di tensioni, di paure, in cui passeggiano ombre, fantasmi di una vita passata, di persone conosciute e di defunti ignoti morti di morte violenta, di vittime e di carnefici. Infine, se è quasi la norma che i protagonisti di romanzi “on the road” siano persone giovani, il personaggio principale Karlo Adum è un professore di storia vedovo e in pensione che da Zagabria va a Sarajevo per entrare in possesso di un’eredità..

    Niente è casuale nel romanzo, compatto ed essenziale, di Jergović. Non il fatto che Karlo Adum sia un professore di storia, perché la Storia travagliata dei paesi della ex Jugoslavia è la vera protagonista del romanzo. E neppure che Adum sia un cognome serbo che significa ‘eunuco’. Non ha figli, il professore, è un serbo fuggito da bambino con la mamma in Croazia (il perché è una delle tante rivelazioni che affiorano dai ricordi, durante il viaggio), ma c’è anche un’idea di sterilità, connessa ai due paesi che un tempo erano uno, di mancanza di prospettive di Serbia e Croazia ad entrambe delle quali Karlo Adum è legato. O che l’automobile del professore sia una vecchia Volvo che finirà i suoi giorni con lui, a Sarajevo.
Anche il titolo, “Freelander”, è colmo di significati. Freelander come il modello del SUV, che è decisamente più recente della Volvo e che sarebbe stato più adeguato al viaggio, oltre ad essere simbolo del nuovo a confronto del vecchio. Freelander come uomo senza terra: anche Karlo Adum, che non ha un senso di appartenenza ad alcun luogo, sospeso tra la Serbia, patria d’origine, e la Croazia in cui è vissuto, è un freelander. Freelander, infine, come il nome in codice del conto bancario in Svizzera dove lo zio, fratello di suo padre, ha depositato i soldi. E  dietro la lite dei due fratelli (padre e zio di Karlo) possiamo leggere la guerra tra Serbia e Croazia, così come possiamo leggere altri significati dietro i ricordi d’infanzia di Karlo a cui la madre- che concedeva le sue grazie a chi le tornasse comodo tra i militari dei paesi che avevano occupato la Jugoslavia- faceva indossare una divisa nera, trasformandolo in un piccolo nazista.

     “Freelander” è un libro che offre parecchie scelte di lettura. La prima, la più ovvia, è quella del viaggio avventuroso di Karlo da Zagabria a Sarajevo: incontri, emergenze, un paesaggio a tratti bello e a tratti segnato dalle cicatrici della guerra. I ricordi che lo accompagnano durante il viaggio sono una seconda lettura, con la storia di una vita, traumatizzata, dislocata. Di un bambino con un padre folle e una madre anafettiva. Di un adulto con una moglie che è morta troppo presto. Di un professore che ha subito delle umiliazioni. E infine c’è la lettura storica, perché la storia del singolo è la storia del paese in cui vive- e nella storia entrano pure la religione, la cultura, la lingua. Sfaccettature, differenze, variazioni che sono di per sé una ricchezza enorme quando non scavano un baratro.

   La lettura del romanzo di Miljenko Jergović è una di quelle che premiano. Se l’andamento narrativo richiede un impegno maggiore delle disimpegnate pagine di un facile bestseller, quello che resta dentro di noi, quando terminiamo il libro, è un tesoro.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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