domenica 16 aprile 2017

Antonio Manzini, “Orfani bianchi” ed. 2016

                                                                   Casa Nostra. Qui Italia
           FRESCO DI LETTURA

Antonio Manzini, “Orfani bianchi”
Ed. chiare lettere, pagg. 240, Euro 16,00

      Roma. Uno scambio di e-mail tra Mirta Mitea (indirizzo g.mail.com) e Ilie Mitea o un tal Boris (indirizzo list.ru: possiamo supporre che i destinatari vivano in qualche paese dell’ex Unione Sovietica). Mirta è preoccupata, vorrebbe che il figlio Ilie le scrivesse, chiede notizie di lui e della vecchia madre a padre Boris che chiaramente serve da intermediario. Il tono di Mirta è ansioso, angosciato, padre Boris cerca di rassicurarla. Mirta parla di pacchi che spedirà- capi di abbigliamento, giochi per Ilie, medicine. Appena metterà da parte abbastanza soldi, manderà una stufa nuova.
      Mirta ha trentaquattro anni, il padre del figlio l’ha abbandonata quando il bambino era piccolo- meglio così. Lei è venuta in Italia per cercare lavoro- fa la badante. Quando la vecchia signora presso cui lavora adesso (inghiottendo umiliazioni) viene ricoverata in una casa di riposo, incomincia l’odissea di Mirta. Una stanza in affitto, un letto condiviso a turno, lavori saltuari a fare la pulizia delle scale di condominii di undici piani, stanchezza mortale. E l’ansia che la rode dentro. La tragedia, però deve ancora venire. Ancora una volta c’è qualcuno che aiuta Mirta, le offrono un posto come badante-infermiera di una novantenne. Che cosa non si è disposti a fare, quali bocconi amari non si è pronti ad ingoiare per duemila euro al mese, pensando a Ilie che è rimasto solo, a Ilie che adesso è in un internat. Se Mirta resiste, tra tre mesi forse potrà farsi raggiungere dal figlio in Italia.
Chisinau, Moldavia
   Conoscevamo l’Antonio Manzini come autore dei romanzi polizieschi con il protagonista Rocco Schiavone, il più simpatico antipatico dei commissari del genere. Con “Orfani bianchi” lo scrittore mostra la sua capacità di cimentarsi con un’altra narrativa. Il tema è quello dell’immigrazione, dei lavoratori stranieri contro cui sorgono tante proteste, come se rubassero il lavoro agli italiani, ma che sono indispensabili. Chi farebbe quello che fanno loro? Chi sarebbe disposto ad adattarsi a qualunque sistemazione, a passare notti in bianco, a sopportare le stranezze di anziani per lo più ammalati? Probabilmente ci vorrebbero due persone al posto di una, ad un costo improponibile. Perché l’altra faccia del problema è quello di una popolazione sempre più vecchia con figli già anziani che devono occuparsi di genitori ancora più anziani o, comunque, di figli che sono troppo presi dal lavoro e dalla loro famiglia e non hanno tempo- e neppure voglia- di ritagliare scampoli di giornate per prendersi cura dei propri genitori. E Mirta Mitea, che viene da un paese in cui la convivenza di parecchie generazioni che si scambiano aiuto è ancora la norma, si stupisce della freddezza e del cinismo delle persone che incontra. C’è poco di cui essere orgogliosi, se ci guardiamo con gli occhi di Mirta Mitea. Manchiamo di umanità prima di tutto nei confronti di persone a cui siamo debitori di affetto e poi anche verso chi lavora per noi. Tendiamo a trasformare le persone in oggetti che usiamo, indifferenti ai loro sentimenti. Le esperienze di Mirta- e non c’è nessuna esagerazione, basta guardarci intorno, basta tendere l’orecchio ai discorsi che sentiamo fare- sono terribili.

    In Moldavia chiamano ‘orfani bianchi’ i bambini che, pur avendo i genitori, sono alloggiati negli ‘internat’. Sono i figli di chi, come Mirta, deve scegliere tra restare con i propri bambini e morire di fame con loro o andare all’estero nella speranza di riuscire a trovare lavoro, di risparmiare, di farsi raggiungere dalla famiglia. C’è un prezzo emotivo altissimo da pagare per questo sacrificio. Dovremmo ricordarlo quando sentiamo qualche frase impietosa.

    Scorrevole, ben scritto, tristissimo con il suo doppio tragico finale, un libro che non può lasciarci indifferenti.  


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