venerdì 14 aprile 2017

Barry Eisler, “Rain Storm. Pagato per uccidere” ed. 2006

                                  Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
   cento sfumature di giallo
    il libro ritrovato

Barry Eisler, “Rain Storm. Pagato per uccidere
Ed. Garzanti, trad. Gianni Pannofino, pagg. 369, Euro 16,50

John Rain, killer di professione, riceve dalla CIA l’incarico di eliminare Belghazi, un trafficante d’armi implicato nel terrorismo islamico in Estremo Oriente. Quando arriva a Macao, sulle tracce di Belghazi, scopre che c’è anche qualcun altro che ha il suo stesso incarico, ma per conto di chi? E che ruolo ha la bella donna che accompagna Belghazi? Amica o nemica? Il gioco diventa molto pericoloso per lo stesso John Rain che si ritroverà alla fine piuttosto malconcio.


 INTERVISTA A BARRY EISLER, autore di “Rain Storm. Pagato per uccidere”

     C’è una possibilità pressoché infinita di titoli che giocano sul nome del protagonista John Rain per i prossimi libri dello scrittore americano Barry Eisler, come abbiamo già visto nei romanzi del tedesco Schlink che ha chiamato Selb il suo investigatore o l’inglese Wingfield che ha messo in scena l’ispettore Frost. “Rain Storm” è il titolo del romanzo appena pubblicato, il terzo dopo “Rain Fall” e “Hard Rain” con questo personaggio singolare, per metà americano e per metà giapponese,  che ha fatto accentuare i suoi tratti giapponesi con un intervento chirurgico, ha combattuto in Vietnam ed è un killer free-lance che lavora per lo più per la CIA, specializzato nell’uccidere senza lasciare traccia, simulando una morte della vittima per cause naturali. In “Rain Storm” la vittima predestinata è un tal Belghazi, trafficante d’armi, presente a Macao in apparenza per dedicarsi alla sua passione, il gioco d’azzardo.
Va da sé che non è facile avvicinare un uomo del genere, sempre scortato da guardaspalle scrupolosissimi nell’accertarsi della sua sicurezza in ogni luogo. E ci vorranno 350 pagine per riuscire ad ucciderlo ma, prima che si compia questa morte annunciata, differita e con una modifica nei piani, John Rain si lascia dietro una scia di cadaveri- mors tua vita mea, sono omicidi inevitabili quando il nostro protagonista scopre che non è l’unico incaricato di far fuori Belghazi (a chi altro interessa la sua morte?) e che, ad un certo punto, è lui stesso a venire cacciato e deve colpire per non essere colpito. E John Rain colpisce sempre con velocità e precisione sorprendenti, agilissimo nonostante i cinquant’anni, specializzato in una mossa che spezza il collo della vittima, pieno di risorse e supportato da dispositivi tecnici che facilitano la vita del killer (e gliela allungano).
    “Rain Storm” è un romanzo d’azione, un thriller nel senso che comunica al lettore dei brividi di eccitazione nell’attesa di quello che deve accadere, con un ritmo serrato che non rallenta neppure nelle scene di schermaglia amorosa tra John e la bionda che accompagna Belghazi. Perché è subito chiaro che non è una semplice amante, o “hostess” o accompagnatrice, che anche lei ha delle mire su Belghazi, o meglio sul suo computer, che ha seguito una scuola d’addestramento severa e altamente specializzata quanto quella di John- e poi, ci si può fidare di una donna che si chiama Delilah come colei che ha consegnato Sansone ai filistei?

    In uno scenario bellissimo che Barry Eisler pare conoscere altrettanto bene quanto John Rain, tra Macao e Hong Kong, dietro la trama di inseguimenti e fughe, appostamenti e agguati, si delinea un’altra trama giocata su spazi molto più vasti, con pedine mosse dall’alto senza regole fisse, seguendo opportunità politiche che non si ammantano della neppur minima parvenza di ideali. E John Rain è stato a suo tempo una di queste pedine, quando è andato giovanissimo in Vietnam con licenza d’uccidere- per scoprire al ritorno che la licenza non era valida- e poi ancora in Afghanistan, al tempo in cui l’America era amica di quelli che chiamava “muji” e che poi sarebbero diventati più semplicemente e genericamente “terroristi”. Stilos ha intervistato l’autore di questo brillante thriller politico.

 
Barry Eisler
 Com’è “nato” John Rain? È un personaggio così insolito, per metà americano e per metà giapponese…
   Prima di tutto devo dire che mi sono sempre piaciuti i romanzi che hanno un killer per protagonista. Poi- vivevo a Tokyo nel 1993 e mi esercitavo nello judo, e tutte queste cose insieme, l’esperienza di vivere in Giappone, lo judo, andare nei jazz club con degli amici appassionati di musica jazz, hanno contribuito alla creazione del personaggio di John Rain, l’assassino per metà giapponese e per metà americano.

 Quando ha pensato al personaggio di John Rain, si è posto il problema di quale uomo potesse mai fare la scelta di diventare un killer ed è per questo che gli ha dato un passato da combattente in Vietnam? Perché- come dice spesso John nel primo libro della serie, “Pioggia nera su Tokyo”- non si torna a casa dal Vietnam?

   Assolutamente sì, una delle cose che non mi piacciono delle storie con gli assassini e che cerco di evitare nei miei romanzi è il fatto di non sapere da dove vengano, come fanno a diventare degli assassini prezzolati. Perché non è una scelta ovvia, non è come decidere di fare il medico o l’avvocato. Ho passato parecchio tempo a pensare e ad elaborare un passato che spiegasse realisticamente come John Rain fosse diventato quello che è e mi è parso che l’esperienza del Vietnam potesse spiegare la sua scelta- di restare sempre in guerra, come dice lui stesso.

John dice di non essere un samurai e tuttavia il suo amico Tatsu parla di lui come se lo fosse. Fino a che punto possiamo dire che John è- o non è- un samurai?

    Nel mondo occidentale tendiamo a pensare ad un samurai come ad un guerriero. E’ vero che i samurai erano guerrieri ma soprattutto erano al servizio di una causa più grande di loro. In un certo senso Rain non è un samurai, lui stesso nel primo romanzo della serie dice di non servire una causa, di essere stato tradito dalla causa in cui credeva, di non aver più nessuna illusione. Ma sono le cose che dice a se stesso, questa non è la sua natura. Rain vorrebbe avere una causa da servire e Tatsu vede in lui questa motivazione. Per Tatsu Rain ha il cuore di un samurai anche se non vive la vita di un samurai. Per Tatsu il non essere un samurai è per Rain un tradimento della sua natura migliore.

L’ambientazione dei suoi romanzi è l’Estremo Oriente, soprattutto il Giappone, Macao e Hong Kong in questo romanzo. Che cosa la attira in Giappone?
    Il mio interesse per il Giappone è iniziato con le arti marziali: quando ero al college ero appassionato di karate e di judo. Da quell’interesse per le arti marziali è venuto l’interesse per la cultura giapponese in generale e più imparavo più volevo imparare. Alla fine ho trovato la maniera di vivere in Giappone, lavorando in uno studio legale. Era il 1991, sono andato a Tokyo e mi sono innamorato immediatamente di quella città. E la amo ancora.


Nel primo romanzo della serie ci sono spesso frasi in giapponese che si inseriscono benissimo nel contesto, creando un’atmosfera “locale” come fa Clavell nel suo “Shogun”. Come mai John non parla quasi più in giapponese in quest’ultimo romanzo?
    Bel romanzo “Shogun”…E’ un’osservazione giusta: ho vissuto tre anni in Giappone, abitavo là quando ho scritto il primo libro e mi veniva naturale inserire delle frasi in giapponese. Forse, se lo riscrivessi adesso, non lo farei più perché mi è stato rimproverato che i lettori possono trovarsi in difficoltà…

Quando ha iniziato a praticare le arti marziali, lo ha fatto considerandole un mezzo di difesa o di offesa?
   Di difesa, naturalmente. Le arti marziali sono uno strumento, la filosofia che è dietro le arti marziali è che la spada non è né buona né cattiva, è solo una spada: c’è quella buona che è quella della giustizia ed è la spada che dà la vita, e c’è quella cattiva che invece prende la vita ed è la spada dell’oppressione. Quello che importa è il proposito a cui si impiega, per fini buoni o cattivi. Perché ho iniziato ad interessarmi alle arti marziali? Perché da bambino sono stato spesso una vittima del bullismo a scuola e ne ho sofferto molto. Iniziare a praticare le arti marziali significava non dover più essere vittima di soprusi e prepotenze, potevo restituire i colpi.

Appare chiaro nel libro che lei conosce bene la CIA. Parafrasando l’ “Amleto”, si potrebbe dire che “C’è del marcio negli Stati Uniti”…
     Penso che il marcio negli Stati Uniti sia soprattutto a livello politico. La CIA è come quella spada di cui parlavamo, un servizio di intelligence è necessario, come la spada, ed è l’uso che se ne fa che determina se è buona o cattiva. Per citare ancora Shakespeare, “Giulio Cesare” questa volta, “la colpa non è nelle stelle, ma in noi stessi”. E sì, la mia conoscenza dell’ambiente è determinata dal fatto che ho fatto un tirocinio per tre anni per operare come spia- mi intrigava questo aspetto della vita delle spie, l’avere una vita segreta.

Come prepara le scene dei romanzi? Sembrano costruite meticolosamente in ogni dettaglio, per non lasciare spazio al caso, soppesando tutte le possibilità di rischio e pericolo.
    La cosa buffa è che questa meticolosa preparazione si basa sull’allenamento e il miglior allenamento è il raffinamento del comune buon senso. Se uno progetta qualcosa, c’è un processo logico da seguire: per prima cosa ci si deve chiedere qual è l’obiettivo che si vuole raggiungere e subito dopo si deve lavorare a ritroso. Si inizia con la domanda ‘che cosa?’ e si procede con ‘come?’ e ci saranno livelli multipli di ‘come’. L’esperienza aiuta. Ci vuole buon senso per capire il procedimento, poi si deve avere esperienza. Alle spie si insegna che cosa fare, come costruire una realtà alternativa nei minimi dettagli e ci vuole un vero talento per l’inganno.

Nel libro si cita spesso l’11 settembre: il mondo è certamente cambiato dopo l’11 settembre, sono cambiati anche i suoi romanzi?

    Forse sì. Se uso l’11 settembre, non uso l’evento in sé, quello che mi interessa sono le tendenze che hanno preso il via dopo l’11 settembre. Se scrivi dei thriller politici ambientati ai nostri giorni non puoi evitare l’impatto dell’11 settembre perché ha cambiato tante cose nella società e nella politica americana.

Ad un certo punto del libro John è a Las Vegas e ci sono parole molto dure contro il mondo dei giochi. Ci sono due facce degli Stati Uniti? Come una specie di schizofrenia? Ci sono due mondi, uno che manovra opinioni e passioni e uno che lavora per il suo interesse?
    Per qualunque azione c’è una ragione vera come spiegazione e una che è quella che si presenta alla società, come una doppia faccia. In Giappone ci sono addirittura due parole per dire questo. C’è sempre la verità che possiamo affrontare e le motivazioni più profonde che preferiamo occultare. Mi fa piacere che abbia notato quel passaggio su Las Vegas perché per me Las Vegas è una città affascinante, anche se non vorrei passarci tanto tempo. Las Vegas rappresenta al massimo la spaccatura tra il mondo scintillante dei soldi, del divertimento, dell’apparenza e quello che c’è sotto la superficie, i desideri più bassi, la lussuria, l’avidità e la disperazione che alimentano Las Vegas. Mi piace questa sfasatura.


Ci sono tre donne in “Rain Storm”: Midori che appare come un ricordo, Noemi che John deve lasciare e Delilah, che ha un nome molto pericoloso. Riapparirà negli altri romanzi Delilah?
    Certamente incontreremo ancora Delilah- in America sono già stati pubblicati altri due romanzi e quindi è una cosa certa. Delilah è più giovane di Rain, ma c’è una forte attrazione sessuale tra di loro. Delilah appartiene al mondo di Rain, mentre Noemi è giovane e innocente e ci sono troppe cose a dividere Rain da Midori- prima fra tutte il fatto che Rain, come sappiamo dal primo romanzo, ha ucciso suo padre. Midori e Noemi sono due persone normali, mentre Delilah è quella che può capire meglio Rain. Sono due professionisti, quando si incontrano sanno che sono pericolosi l’uno per l’altra, che l’uno potrebbe uccidere l’altra e viceversa, si capiscono così bene che da una sfiducia così aperta può nascere la fiducia tra di loro. Delilah e Rain sono perfettamente a loro agio tra di loro perché sanno chi sono, sanno che tutto può finire.

John Rain è un assassino, non possiamo ammirarlo, eppure ci è simpatico: perché ci piace John Rain?

    Ci piace perché lo conosciamo, perché anche se agisce male ha un senso dell’onore, è buono con gli amici, è leale, e attorno a lui ci sono queste persone corrotte e false, e in paragone a loro lui è un personaggio positivo. Ha presente “Il padrino”? Libro fantastico. Don Corleone è un assassino, ma è anche un marito e un padre straordinario, ha forti valori famigliari, è leale, ha una morale- niente droga e niente prostituzione- e quelli che invece dovrebbero essere gli eroi, i poliziotti e gli uomini politici, sono corrotti. E noi ammiriamo Don Corleone, ci piace, come ci piace John Rain.

recensione e intervista sono stati pubblicate sulla rivista letteraria Stilos

                                                                                                     


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