sabato 27 gennaio 2018

Catherine Dunne, “Come cade la luce” ed. 2018

                              Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
           storia di famiglia
           FRESCO DI LETTURA

Catherine Dunne, “Come cade la luce”
Ed. Guanda, trad. Ada Arduini, pagg. 363, Euro 18,90

       Due isole, Cipro e l’Irlanda. Una famiglia, gli Emilianides, fuggiti da Cipro dopo il colpo di stato del 1974. Allora, quando erano arrivati a Dublino, Ari e Phillida avevano solo una bambina, Alexia, e Phillida neppure sapeva di essere incinta di Mitros. Dopo Mitros era nata un’altra bambina, Melina, ma già sapevano che l’unico figlio maschio non avrebbe mai avuto una vita normale, che non avrebbe né parlato né camminato, che Phillida lo avrebbe sempre accudito e spinto su una sedia a rotelle.
    Ancora una volta sono le donne, le protagoniste del nuovo romanzo della scrittrice irlandese Catherine Dunne, “Come cade la luce”. Alexia e Melina e Phillida. Phillida, la mater dolorosa, straordinaria nella sua dedizione totale a Mitros, distrutta dalla sofferenza quando è inevitabile far ricoverare il figlio a Tearmann, nell’Irlanda dell’ovest, capace però di riprendersi, di iniziare a lavorare, di prendere la patente e acquistare una piccola automobile per andare più spesso a trovare Mitros, severa eppure ragionevole con le figlie,  comprensiva nei confronti di Alexia che vuole andare ad abitare per conto suo. Alexia, bellissima, che a quattro anni era già ‘grande’, quando si era manifestata la disabilità di Mitros, che si era sposata con un uomo che Melina aveva soprannominato l’Uomo di Ghiaccio e che poi l’aveva lasciata. Melina, che sarebbe diventata disegnatrice d’interni e avrebbe avuto la storia d’amore più difficile di tutti, quella che resta un interrogativo lungo tutto il romanzo che si svolge tra il 1986 e il 2017, soprattutto a Dublino e poi a Cipro- luogo di ritorno, patria del cuore perché è bello terminare la vita laggiù dove è iniziata.

    Voci diverse si alternano in tre filoni narrativi- una in terza persona che tiene tutte le fila del racconto, una, quella di Melina, in prima persona (e lascia indovinare che sta vivendo un momento di terribile crisi), e quella di Alexia, anche questa in prima persona ma attraverso le lettere che scrive alla sorella per posta elettronica. Lettere a cui Melina subito non risponde- che cosa è successo perché il padre sia così furibondo con lei?
    La famiglia è il perno del romanzo di Catherine Dunne. Qualunque cosa succeda, qualunque siano gli errori di uno dei membri della famiglia, nella buona e nella cattiva sorte la famiglia deve restare unita, nulla è più importante di questo. E sono tante le difficoltà che gli Emilianides devono affrontare. E’ grazie all’amore tra Ari e Phillida che gli anni duri dopo l’immigrazione sono stati superati. E’ stata l’abnegazione di Phillida a far sì che Mitros non venisse emarginato nella sua stessa famiglia. La solidarietà tra le sorelle ha tirato fuori Alexia dalla depressione dopo il tradimento del marito. Forse la controparte di questa coesione famigliare è stata un certo isolamento, un’accentuazione della loro estraneità pur essendo perfettamente integrati nell’ambiente irlandese. Tuttavia il messaggio è forte e chiaro, nei nostri tempi in cui le famiglie si sfaldano e i figli perdono ogni certezza- i genitori devono esserci sempre, per i figli. I figli devono essere sicuri del loro amore, anche a distanza. Devono sapere che le braccia dei genitori sono lì, pronti a sollevarli da terra, come quando cadevano da bambini. L’affetto, la fiducia e la confidenza sono essenziali.


    Con il suo solito garbo, con la sua solita penna felice, Catherine Dunne esplora ancora una volta l’universo dei sentimenti femminili. Gli uomini del romanzo- a parte il bel personaggio di Ari e quello (fuggevole) del secondo marito di Alexia alla fine- non fanno una bella figura. Egocentrici ed egoisti anche quando (come Cormac) sembrano il contrario, manipolatori, freddi come l’Uomo di Ghiaccio. E c’è una striscia di luce che filtra attraverso le pagine del libro, che serpeggia sul pavimento della stanza nel ricovero di Mitros, che cade sulla terrazza della casa di Cipro che si chiama Katafigio, come Tearmann, il Rifugio per tutta la famiglia di nuovo insieme davanti alla macchina fotografica di Melina- “non ci può essere niente di più bello”, sono le parole che chiudono le storie.

la recensione, come l'intervista che seguirà, saranno pubblicate su www.stradanove.net
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